Nuova specie di falena nel Parco Capanne di Marcarolo
La scoperta di una nuova specie, animale o vegetale, è un momento molto delicato, importante e particolare. Se poi il contesto in cui viene scoperta è quello di un Parco…
Una nuova scoperta scientifica è un evento importante, una notizia da diffondere, un tassello in più nell’avanzamento della scienza. E, contrariamente a quanto si possa immaginare, non si tratta esclusivamente di un risultato, di un traguardo nel cammino del progresso scientifico, che interessi soltanto la comunità scientifica, ma, al contrario, un patrimonio comune di sapere e di stupore, di Bellezza, da condividere nel più ampio raggio d’azione possibile.
E’ per questo che una tale notizia non si ferma alla pubblicazione su riviste scientifiche specializzate, destinate ad un pubblico di esperti e studiosi della disciplina, ma merita la più ampia diffusione possibile, in virtù della sua straordinaria potenza evocativa proprio della Bellezza…sì, quella con la B maiuscola, quella che si lega al Cosmo, che non a caso si chiama così (Kòsmos in greco significa “ordine”, ma significa anche “bellezza”).
Immaginate che a compiere il ritrovamento sia il personale guardiaparco in servizio, che da anni si occupa di ricerca, cura e manutenzione del territorio, in un caso; oppure docenti universitari di botanica, che di ricerca e insegnamento ne hanno fatto una professione, in un altro.
I guardiaparco dell’Appennino Piemontese hanno di recente ritrovato nel territorio del Parco Capanne di Marcarolo alcuni bruchi appartenenti alla categoria del Bómbice del prugnolo (Eriogaster catax). Si tratta di una falena inserita nell’allegato II della Direttiva Habitat, la norma europea per la conservazione degli habitat e delle specie selvatiche. Come molte farfalle appartenenti al gruppo degli eteroceri, ha abitudini notturne e gli adulti possono essere incontrati a tarda estate/inizio autunno; le larve, invece, si trovano dentro o nei pressi del nido setoso, a fine inverno e inizio primavera sulla pianta nutrice.
Dopo essersi accoppiate, le femmine adulte, depongono le uova impastate con peli del proprio addome sui rametti del prugnolo (Prunus spinosa), del biancospino (Crataegus monogyna) o su altre rosacee ed è su questi arbusti che, al riprendere della stagione vegetativa, potranno essere scoperti i bruchi, dapprima lunghi alcuni millimetri e nerastri con una peluria appena accennata, poi con iridescenze dal blu-rosso al violetto.
In ragione delle abitudini crepuscolari degli adulti, la specie più spesso viene individuata dai nidi e dai bruchi, che potranno essere scambiati con quelli di un’altra farfalla, del tutto differente allo stadio adulto: il Pieride del biancospino (Aporia crataegi), una specie di ropalocero – il gruppo delle classiche farfalle diurne – dalle ali bianco diafane.
L’Eriogaster catax è segnalata in maniera sporadica nell’Appennino e, nei siti Natura2000 in gestione all’Ente di gestione delle Aree Protette dell’Appennino piemontese, era nota con certezza solo nella Zona Speciale di Conservazione IT1188011 «Massiccio dell’Antola, Monte Carmo, Monte Legnà»; le ricerche del personale guardiaparco nell’ambito del progetto di monitoraggio delle specie della Direttiva Habitat per conto del Settore biodiversità e aree naturali della Regione Piemonte, hanno invece portato alla scoperta della specie sia nella Zona Speciale di Conservazione IT1180026 « Capanne di Marcarolo » che in un’area prativa a Nord del massiccio del Monte Tobbio, in un sito esterno del Parco Naturale delle Capanne di Marcarolo, zona che, nei confini originari del Parco Naturale, quelli del 1979, sarebbe stata ricompresa.
La storia fu diversa, ma questa farfalla, là, vola ancora.
Altre sono state nel corso degli anni le scoperte di nuove specie che hanno segnato un momento importante per la scienza e per la storia del Parco.
Andando un po’ più indietro nel tempo, precisamente nel 2002, ricordiamo la “farfallina” scoperta dal Dott. Giorgio Baldizzone, entomologo, che fu denominata dallo stesso Coleophora marcarolensis, proprio in virtù del ritrovamento della farfallina sul territorio del Parco Capanne di Marcarolo.
Andiamo a conoscere questa nuova specie attraverso le stesse parole dell’entomologo:
“Schiude da fine maggio a inizio giugno, in concomitanza con la fioritura della sua pianta nutrice da cui si allontana solo per brevi tratti, volando al crepuscolo o di notte. Le femmine depongono le uova nel calice dei fiori e le piccole larve si sviluppano nutrendosi dei semi in formazione. Quando il fiore appassisce, viene staccato e utilizzato per costruire un astuccio provvisorio, ben fasciato di seta all’interno. Con questo la larva si sposta sui baccelli in maturazione, di cui perfora la parete esterna per nutrirsi, maturando nel giro di pochi giorni. Una volta sviluppata, verso metà luglio, si sposta con il suo astuccio e lo fissa su uno stelo nella parte bassa della pianta. Qui resta immobile fino alla primavera dell’anno successivo, quando il suo orologio biologico induce la metamorfosi che la trasforma in crisalide. Si schiuderà come nuova farfalla proprio quando spunteranno i fiori della ginestra”.“E’ una farfallina la cui larva si sviluppa nei fiori e nei baccelli della ginestra pelosa. Probabilmente un endemismo dell’Appennino ligure piemontese, certo una new entry per la scienza. Decido di denominarla Coleophora marcarolensis”.
Più recentemente, nel 2011 è, invece, stata scoperta una nuova pianta proprio nel territorio del Parco. I docenti autori della scoperta sono Giuseppina Barberis dell’Università degli Studi di Genova e Enio Nardi dell’Ateneo di Firenze, entrambi docenti di botanica sistematica.
La nuova pianta scientificamente si chiama “Aquilegia ophiolithica” cioè l’Aquilegia delle ofioliti, appartenente alla famiglia delle Ranunculaceae, che raggruppa circa 1500 piante erbacee. Il termine “aquilegia” deriva dal latino “aquilegium” che significa recipiente per l’acqua, mentre “ophiolithica” fa riferimento alle rocce ofiliotiche, meglio conosciute come pietre verdi, tipiche del territorio del Parco dell’Appennino Piemontese e simboleggiate dal Monte Tobbio.
Insieme ad altre due specie di fiori, l’Aquilegia delle ofioliti si trova solo nel breve tratto di Appennino a ridosso delle città di Genova e Savona: motivo in più affinché le Aree Protette interessate (l’Appennino Piemontese e il Beigua) siano in prima linea per la tutela e la conservazione degli habitat, nonché per la protezione dei siti dove nasce, monitorando l’impatto del pascolo. La scoperta della nuova pianta è stata pubblicata sulla rivista scientifica “Webbia”.