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Le Aree protette dell’Appennino Piemontese capofila del progetto Life WET

L’ente di gestione delle Aree Protette dell’Appennino Piemontese, con il supporto e la collaborazione dell’Ente Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano e unitamente a un ampio partenariato,  ha presentato lo scorso 4 ottobre la domanda per il finanziamento del Progetto WET (Wet Emergency Teams – Squadre di emergenza per le zone umide) nell’ambito della Call 2022 dedicata alle Azioni per il Clima del Programma Life “Adattamento ai cambiamenti climatici” (LIFE-2022-SAP-CLIMA-CCA)

Gli obiettivi generali del Programma sono quelli di realizzare la visione a lungo termine della strategia dell’UE sull’adattamento ai cambiamenti climatici secondo cui, nel 2050, l’UE sarà una società resiliente e pienamente adattata agli impatti inevitabili dei cambiamenti climatici.

Nello specifico il Progetto WET si pone l’obiettivo di minimizzare l’impatto dei cambiamenti climatici sui cosiddetti “ponds, piccole superfici di “acque lentiche”, habitat delle acque interne non correnti come laghi, stagni, paludi, pozze, favorendone l’adattamento per aumentarne la resistenza e la resilienza climatica in una vasta area di Appennino settentrionale. La finalità è quella di mantenere l’erogazione dei loro servizi ecosistemici,  unitamente alla conservazione della biodiversità (anfibi e specie floristiche rare e minacciate), mantenendone la funzionalità strutturale e funzionale.

L’adattamento dei ponds sarà attuato in via sperimentale su “aree target di primo livello” attraverso interventi ingegneristici, ripristini e miglioramenti dell’habitat ma soprattutto soluzioni gestionali da attuare attraverso Accordi e/o Patti territoriali.

lago del Padù nel Parco Capanne di Marcarolo – foto Germano Ferrando (Archivio APAP)

Le aree umide interessate dagli interventi e dai monitoraggio previsti dal Progetto WET nelle Aree Protette dell’Appennino Piemontese dovrebbero essere il Lago del Padù, le pozze di Cascina Moglioni e le zone umide di cascina Piota, nel Parco Naturale delle Capanne di Marcarolo, e l’area forestale del torrente Corosella nel corridoio ecologico “Contrafforti monti Cavalmurone e Porreio – Val Gallina” tra la ZPS “Dorsale Monte Ebro e Monte Chiappo” e la ZSC “Massiccio dell’Antola, M.te Carmo, M.te Legna”.

Nella seconda fase progettuale, le migliori pratiche di adattamento e gli schemi di governance dei ponds messi a punto e sperimentati nel corso di questa prima fase, saranno replicati su un’area target di secondo livello.

I partner di progetto sono, oltre al già citato Ente Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano, l’Unione di Comuni Montana Lunigiana, gli Enti di gestione per i Parchi e la Biodiversità – Emilia centrale e Emilia occidentale, l’Università degli studi di Parma e il CNR – Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Il Progetto WET è supportato formalmente anche del Settore Sviluppo sostenibile, biodiversità e aree naturali della Regione Piemonte che ha espressamente la competenza sull’attuazione delle Direttive europee e delle norme nazionali attraverso la costruzione e la gestione delle strategie regionali in materia di biodiversità, contrasto ai cambiamenti climatici e sviluppo sostenibile.

Hanno inviato una lettera di sostegno inoltre anche il Settore Conservazione e gestione fauna selvatica e acquicoltura della Regione Piemonte, la Struttura Valutazioni Ambientali di ARPA Piemonte, l’Ufficio Tecnico faunistico della Provincia di Alessandria, la Societas Herpetologica Italica (SHI), la Sezione provinciale F.I.P.S.A.S. di Alessandria, il Consorzio carne bovina all’erba degli allevatori vacca vitello dell’Appennino del Piemonte orientale delle valli Curone, Grue, Ossona, Borbera e Spinti, Associazioni Ambientaliste e diversi soggetti privati.

Gli effetti del cambiamento climatico

muretto a secco del lavatoio “delle donne” Ecomuseo di Cascina Moglioni (Archivio APAP)

Gli effetti del cambiamento climatico sono già visibili in tutta l’Europa meridionale e stanno diventando più drammatici della media dei cambiamenti mondiali avvenuti nel corso del XX secolo. Le proiezioni globali riportate sul Quinto Rapporto di Valutazione dell’Intergovernmental Panel on Climate Change hanno, infatti, confermato una significativa diminuzione della quantità di precipitazioni e un aumento delle temperature medie nonché un aumento dell’intensità e della frequenza degli eventi climatici estremi. Ne consegue che anche il bacino del Mediterraneo subirà un aumento di intensità e frequenza dei periodi di siccità oltre a forti variazioni sia nella quantità che nella distribuzione temporale degli eventi piovosi.

La preoccupazione per lo stato di conservazione degli habitat lentici d’acqua dolce (tipici di laghi, stagni, paludi, pozze) cresce quindi in tutta l’area mediterranea, non solo per il rischio di diminuzione o perdita della disponibilità di zone umide, ma anche per l’evidenza che gran parte delle specie legate a questi habitat rischiano l’estinzione locale (con la conseguente perdita di variabilità genetica) a causa della perdita di habitat e stanno già modificando i loro cicli vitali a seguito dell’arrivo di specie aliene invasive, che si adattano meglio alle nuove condizioni climatiche.

In uno scenario simile, la conservazione dei laghi e, soprattutto, delle piccole zone umide e la preservazione dei loro servizi ecosistemici per i benefici delle comunità locali porteranno, già nell’immediato futuro, ad una serie di dure e complesse sfide in termini del loro adattamento e gestione in relazione ai nuovi scenari climatici e quindi anche in termini di conservazione della biodiversità regionale (habitat e specie) strettamente legata alle zone umide.

Le piccole zone umide sono infatti vitali per la biodiversità, poiché supportano metapopolazioni (l’insieme di diverse popolazioni interconnesse geneticamente tra di loro) di molte specie rare e minacciate di anfibi, ma anche di invertebrati acquatici e piante. Inoltre offrono riparo e luogo di abbeveraggio (in particolare durante la stagione climatica avversa) per quasi tutte le specie locali (dai grandi mammiferi agli impollinatori). Il loro mantenimento è quindi essenziale per l’intera biodiversità regionale, anche per le specie non direttamente adattate alla vita acquatica.

Allo stesso tempo, le piccole zone umide sono una parte importante della nostra cultura, non solo per il loro intrinseco valore storico, ma anche perché rappresentano una risorsa sociale per le attività turistiche e ricreative ed economica per l’agricoltura locale. La loro presenza in un territorio, infatti, permette non solo di garantire una maggiore quantità di prodotti delle aziende agricole (garantendo forme alternative e sostenibili di approvvigionamento idrico), ma anche di migliorare la diversità ambientale e, di conseguenza, la percezione del paesaggio, favorendo l’incremento dell’agriturismo e del turismo in genere.

Nonostante la loro grande biodiversità e valore socio-economico e le numerose minacce, legate alla crisi climatica, che colpiscono gli stagni, le piccole zone umide (con dimensioni inferiori a 10 ettari) sono oggi ancora marginali in termini di sforzi di conversazione e scarsamente tutelate da organismi europei e nazionali legislazioni. Gli stagni sono esclusi dai piani di conservazione e, soprattutto, non esiste una vera strategia di adattamento anche nei piani di gestione delle aree protette e dei siti della rete Natura2000. Inoltre, le piccole zone umide non sono ancora incluse nel processo di attuazione della Direttiva Quadro sulle Acque dell’Unione Europea (2000/60/CE) e attualmente ricevono solo una protezione limitata dalla Direttiva Habitat (92/43/CEE).

In assenza di una strategia volta alla conservazione e all’adattamento degli stagni agli impatti dei cambiamenti climatici, anche l’Appennino settentrionale rischia di perdere progressivamente questi peculiari ambienti e, di conseguenza, il loro patrimonio unico in termini di biodiversità e servizi ecosistemici in generale.

Pertanto, il progetto mira a colmare l’urgenza di coordinare e programmare l’adeguamento, il consolidamento e l’incremento della popolazione delle zone umide all’interno di 12 aree e paesaggi protetti regionali e nazionali lungo l’Appennino settentrionale. L’obiettivo sarà raggiunto attraverso la definizione di patti territoriali di governo locale (ma facilmente trasferibili e replicabili in un contesto territoriale più ampio), attraverso l’attuazione di azioni concrete di ripristino e adattamento degli habitat lentici di acqua dolce all’interno di “aree target di primo livello”, nonché attraverso il coinvolgimento diretto e la sensibilizzazione degli attori istituzionali e non, anche con l’obiettivo di riconoscere i valori agricoli ed economici dei servizi ecosistemici che gli zone umide forniscono alla collettività.

L’area di progetto coincide con un’ampia porzione del territorio dell’Appennino settentrionale, compreso all’interno di 12 aree protette nazionali e regionali, paesaggi protetti e/o siti NN2000.

I cambiamenti climatici hanno molte implicazioni anche sulla conservazione degli ecosistemi  legati agli ambienti acquatici. Variazioni del modello delle precipitazioni e siccità sempre più intense e di lunga durata stanno determinando impatti sempre più negativi sulla conservazione di habitat e specie; gli anfibi in particolare hanno risentito negativamente   ma anche invertebrati acquatici, e piante macrofite e, più in generale, tutte le specie che utilizzano gli zone umide durante il loro ciclo di vita), paesaggio, produzioni agricole, attività ricreative e, non ultimo, stoccaggio di carbonio organico (mitigazione climatica).

La rapidità del cambiamento climatico richiede misure urgenti di adattamento con l’obiettivo di migliorare la resistenza e la resilienza climatica degli stagni e di garantire la fornitura dei loro servizi ecosistemici; inoltre, pratiche di agricoltura irresponsabile e insostenibile, paesaggi semplificati e habitat frammentati peggiorano gli impatti dei cambiamenti climatici sulla biodiversità e dall’altro servizi ecosistemici forniti dagli stagni.

In questa prospettiva, LIFE W.E.T. si concentra sugli stagni presenti in un’ampia area geografica dell’Appennino settentrionale, pianificando e attuando interventi per migliorarne la qualità strutturale, funzionale e spaziale, in termini di numero, connettività e altre strategie di gestione responsabili e scientificamente provate, con l’obiettivo di garantire la conservazione dei servizi ecosistemici e, in particolare, della conservazione della biodiversità, migliorandone lo stato di conservazione, oggi per l’appunto generalmente sfavorevole a causa della loro fragilità climatica.

Tutti gli obiettivi saranno raggiunti attraverso l’attuazione di concreti interventi di adattamento degli stagni ai cambiamenti climatici, attraverso una serie di strumenti di governance, condivisi a livello locale e con stakeholder istituzionali e non e promossi in un contesto territoriale ampio, nonché attraverso una mirata campagna di informazione e sensibilizzazione.

L’importanza delle zone umide (www.regione.piemonte.it)

zona umida Pian della Rana nel Parco Capanne di Marcarolo – foto Germano Ferrando (Archivio APAP)

Le zone umide sono siti di notevole valore e pregio naturalistico, la cui esistenza ed il buono stato di conservazione sono condizioni che assicurano un elevato livello di biodiversità e la garanzia di una efficiente rete ecologica sul territorio.

Le zone umide rappresentano uno degli ecosistemi più importanti ed interessanti esistenti sulla Terra dato il loro ruolo fondamentale nel mantenimento degli equilibri naturali che regolano la biosfera. 

Esse svolgono anche una fondamentale funzione nell’ambito della tutela delle risorse idriche superficiali e sotterranee esplicitamente riconosciute nella normativa comunitaria con la Direttiva 2000/60/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2000 che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque e in quella nazionale con il Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n° 152 “Norme in materia ambientale”.

Le zone umide possono contribuire infatti al miglioramento della qualità delle acque, costituendo talora veri e propri filtri naturali per i flussi idrici inquinati, svolgendo una funzione tampone per laghi e corsi d’acqua ed un’azione denitrificante delle acque contaminate da fertilizzanti o da residui di attività antropiche. Sotto il profilo idraulico, costituiscono aree di espansione allagabili in caso di esondazioni e rappresentano una riserva idrica nei periodisiccitosi.

Le zone umide sono altresì ambienti intrinsecamente vulnerabili, sensibili e, nelle regioni temperate come il Piemonte, strettamente legati alle variazioni degli apporti idrici: infatti cambiamenti anche minimi possono causare la perdita di specie animali e vegetali peculiari, caratterizzate da specifici adattamenti fisiologici ed etologici. 

Tenuto conto della complessità di questi ecosistemi dai fragili equilibri biologici, al fine di pianificare ed attuare adeguate azioni di tutela mirate a valorizzare e conservare le zone umide sul territorio, risulta fondamentale conoscerne la presenza, la distribuzione e le caratteristiche. La deliberazione della Giunta Regionale n. 64-11892 del 28 luglio 2009 Censimento della rete di aree umide presenti in Piemonte, affronta tale problematica e assegna alle Direzioni Agricoltura e Ambiente della Regione Piemonte, con il supporto di Arpa Piemonte, l’incarico di organizzare un inventario delle zone umide presenti sul territorio regionale, unitamente alla predisposizione di un’opportuna cartografia e alla costituzione della relativa banca dati.

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