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  • Gestire per il territorio: uomo e biodiversità    La gestione di un’ Area protetta montana richiede una complessa sinergia tra normativa, ricerca e interventi sul campo, i cui obiettivi possono essere raggiunti solo attraverso la consapevolezza della necessità di mantenere in vita una economia tradizionale direttamente legata alle risorse naturali, e per questo rispettosa degli equilibri ecologici del territorio. La cura delle superfici prative, l’assestamento forestale, il mantenimento delle varietà di piante da frutto tradizionali, la castanicoltura e l’allevamento bovino sono alcune delle priorità che  l’Ente Parco persegue nella sua attività gestionale. La normativa forestale specifica approvata nel 2009 permette il ripristino della viabilità forestale preesistente e forme di incentivazione al mantenimento e impianto dei castagneti da frutto. Le normative comunitarie in materia di conservazione degli habitat impongono un modello di gestione in linea con le attività agricole tradizionali, a testimonianza della necessità di mantenere in vita tale economia, a presidio dell’integrità idrogeologica del territorio. L’accesso ai fondi strutturali comunitari per l’agricoltura (PSR) e per l’ambiente (progetti LIFE), cui l’Area protetta partecipa tramite i bandi appositamente dedicati, consentono di convogliare risorse economiche a favore delle attività agricole e di conservazione di specie e habitat del territorio protetto. Il Parco naturale regionale e Sito di importanza comunitaria…

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Storia del Parco di Capanne

24 Agosto 2009

L’altopiano di Marcarolo si trova nel cuore dell’Oltregiogo, come per secoli è stata denominata la regione montuosa incastonata tra il versante costiero e la pianura.
Si tratta di un territorio sul quale si incontrano e si confondono tradizioni, pratiche e dialetti differenti, di cui non è possibile, senza forzare il racconto storico, fornire un quadro unitario.
Basti pensare al groviglio di giurisdizioni che ancora nel XVIII secolo organizzava la vita politica intorno all’altopiano, intrecciando nel corso dei secoli gli interessi politici ed economici della Repubblica genovese a quelli del Regno sabaudo, dell’Impero e di un mosaico di potentati locali di natura feudale.
L’area era certamente abitata in età protostorica, come conferma la disseminazione degli insediamenti testimoniata nelle valli liminali dalle prospezioni archeologiche e, soprattutto, da quanto riporta la Tavola bronzea di Polcevera, un eccezionale documento epigrafico del II sec. a.C..
Non c’è dubbio che proprio da Marcarolo dovessero passare, già in epoche remote, le strade che mettevano in comunicazione la costa con l’entroterra padano, assicurando il transito di merci preziose come il sale, e in particolare le varianti alla romana via Postumia (realizzata per collegare Genova con Aquileia, passando per Libarna e Tortona, con probabilità percorreva il crinale orientale della Val Lemme) e, in età moderna, all’importante strada della Bocchetta che, con il suo percorso alternativo attraverso Voltaggio, permetteva ai traffici genovesi di raggiungere Gavi evitando i pedaggi dovuti ai Signori della Valle Scrivia.
Dell’Alto Medioevo restano le citazioni di Paolo Diacono (VIII secolo) sulla Selva d’Orba e, più recenti, le notizie riguardanti l’organizzazione delle marche imperiali, la diffusione sul territorio della colonizzazione ecclesiastica attraverso l’istituzione delle pievi (Santa Maria di Prelo, per il versante dell’Orba, e Santa Maria di Lemore, per quello della Val Lemme) e l’erezione dei monasteri di regola benedettina, tra i quali ricordiamo quello della Bruversa, che in seguito prenderà il nome di “Benedicta”, prossimo a Capanne di Marcarolo e risalente ai secoli XI/XII.
Nello stesso periodo si consolida il controllo politico su Marcarolo e sulle terre limitrofe da parte di Genova e di alcuni feudatari appartenenti a famiglie dell’aristocrazia genovese, in seno alla quale emerge la secolare rivalità tra gli Spinola di San Luca e i Doria.
L’interesse della Repubblica sull’area è molteplice, legato a ragioni logistico-strategiche per il controllo delle importanti direttrici viarie locali e, più in generale, del proprio entroterra, ma si spiega anche con il razionale sfruttamento del grande bosco camerale, popolato di roveri, faggi e frassini, che per secoli ha fornito ampia parte del legname necessario per la costruzione della flotta genovese.
È il bosco la principale risorsa locale, sul cui sfruttamento è disponibile un’ininterrotta documentazione che, dal basso Medioevo, arriva sino alla fine del XVIII secolo.
La colonizzazione monastica definiva la prima grande organizzazione produttiva del territorio e ne configurava l’assetto, come è ancora possibile ricostruire attraverso la stratificazione degli interventi attuati nel corso del tempo. Centri importanti, come il monastero della Benedicta, ora nel cuore del Parco, incoraggiavano il radicamento dell’economia agro-pastorale, introducevano sin dal XII secolo, la castagnicoltura e, in progresso nel tempo, determinavano l’avvio del processo insediativo realizzato a partire dal XVI secolo nella forma delle cascine sparse. Questo fenomeno fu una risposta sia alla crescita demografica che all’espulsione dei contadini messa in atto dai nuovi interessi dell’aristocrazia genovese per le terre a ridosso della città. A testimonianza della sua diffusione oggi rimangono, all’interno del territorio del Parco, più di cento cascine.
Per le comunità locali, l’area di Marcarolo in età moderna è crocevia di incontro, ma anche terreno di competizione per l’accesso alle risorse del bosco e dei campi. Una ricca documentazione d’archivio testimonia le numerose liti avvenute fino alla fine del XIX secolo per il diritto di tagliare legna, pascolare, spigolare erbe, talvolta dissodare, raccogliere felci e castagne sui terreni gravati da diritto di uso collettivo – le comunaglie – e nei boschi della Repubblica, che di volta in volta contrapponeva, per esempio, le comunità di Polcevera a quelle di Voltaggio e Palodio (Parodi) o quelle di Larvego (Campomorone) a quelle di Campofreddo (Campoligure).
La diffusione del castagneto è determinante nel corso di tutta l’età moderna per incentivare l’espansione delle unità abitative, nei limiti permessi dalla salvaguardia delle risorse boschive destinate ai cantieri navali e ad alimentare la protoindustria locale. Se si considera che solo tra la fine del XVIII secolo e gli inizi di quello successivo vengono introdotte le colture del mais e della patata, si coglie meglio l’importanza assunta dalla castagna – a cui si potevano aggiungere in misura assai ridotta il grano e la segale – per la sopravvivenza dei contadini. Il ruolo del castagno non si limita al valore alimentare dei suoi frutti e va esteso ai mille usi che il sapere degli uomini ha saputo farne come combustibile, materiale edile, strame per gli animali, fino all’uso del tannino per la concia e la produzione domestica di inchiostro. La castanicoltura ha imposto anche la disseminazione sul territorio dei numerosi seccatoi per castagne, gli “alberghi”, che, costruiti in adiacenza delle cascine o all’interno del bosco, popolano l’altopiano di Marcarolo e le sue pendici.
L’economia contadina dell’area di Capanne è stata condizionata dall’evoluzione dell’assetto proprietario che, tra Sei e Settecento, si era modificato a favore della concentrazione dei poderi nelle mani di due famiglie, i nobili Spinola e i borghesi Pizzorno, proprietari di Ferriere a Rossiglione. Quell’economia, ulteriormente erosa dalle rendite proprietarie, non si poteva basare sui soli prodotti della terra.
Le rese agricole indirizzate alla sussistenza venivano integrate da attività di sostegno attuate in modi diversi nelle diverse epoche: il trasporto e la vendita del legname, la produzione e la commercializzazione della carbonella, l’apicoltura e, dalla fine del settecento, la bachicoltura, a cui si aggiungevano i redditi supplementari provenienti dalla piccola manifattura domiciliare e dalla mobilità stagionale dei lavoratori diretti in Val Polcevera o verso la pianura.
Un posto particolare nell’economia locale è occupato dalle attività protoindustriali perdurate fino al XIX secolo, come testimoniano le vetrerie, di cui in Alta Val Lemme si trovano resti risalenti al Medioevo, la produzione della carta e la lavorazione del ferro attestate sul versante della Valle Stura, le neviere e le ghiacciaie dislocate soprattutto sui contrafforti montani, in prossimità dei passi, le attività estrattive e le fornaci di calce.
Le vicende politiche che coinvolgevano lo Stato genovese sovente si riverberavano sul suo immediato entroterra, mettendone a repentaglio gli equilibri demografici e produttivi. In questo senso, tutta l’area che circonda Marcarolo divenne, a varie riprese, teatro di scontri militari, come nel 1409 quando le truppe di Facino Cane, in marcia verso Genova, attraversarono proprio il paese di Capanne, e di nuovo nel 1625 durante la guerra che antepose la Repubblica all’esercito franco-piemontese. Oltre cento anni più tardi (1746) gli effetti della guerra di successione portarono le truppe austriache a invadere Genova attraverso l’Oltregiogo; queste terre, ancora a fine Settecento, videro il passaggio delle truppe impegnate nelle campagne napoleoniche.
In questi frangenti la popolazione si trovava a essere, di volta in volta, inerme preda di saccheggio oppure direttamente coinvolta come massa di contenimento e disturbo degli eserciti invasori, come spesso accadeva sulle terre di frontiera.
Il territorio di Marcarolo – zona cuscinetto e, contemporaneamente, miniera di risorse per le principali attività economiche della Superba; teatro di guerre altrui e fonte di redditi extralocali – nel corso dell’Ottocento è segnato in maniera decisiva dall’apertura delle grandi vie di comunicazione di fondovalle (le ferrovie e le strade) che deviano lungo la Valle Stura e, soprattutto, lungo la Valle Scrivia i flussi commerciali, i traffici e le occasioni di sviluppo industriale. Nell’ultimo quarto del secolo il paesaggio dell’Alta Val Gorzente è sconvolto dalla costruzione di tre laghi artificiali (ai quali, più tardi, si aggiungerà il bacino della Lavagnina). La grandiosa opera – una delle prime in Italia nel suo genere – viene realizzata per conto dell’Acquedotto De Ferrari-Galliera e comporta profonde conseguenze sul piano economico, sociale e ambientale: la riorganizzazione dell’approvvigionamento idrico di Genova; il rilancio dell’industria manifatturiera in Val Verde; l’arrivo di centinaia di manovali (soprattutto sterratori) provenienti dal Veneto. Per l’area di Marcarolo, le conseguenze dell’impresa si possono riassumere nella drastica ridefinizione dell’assetto bio-climatico e degli equilibri ecologici.
Con i primi anni del XX secolo inizia un processo di spopolamento che si accentua progressivamente nel corso dei successivi decenni. Si arriva così alla seconda guerra mondiale, delle cui ferite resta un doloroso monito nel sacrario della Benedicta, dove nella Settimana Santa del 1944, in seguito a un rastrellamento, le truppe nazi-fasciste fucilarono centoquarantasette giovani e ne deportarono quattrocento nei campi di sterminio tedeschi.
Dopo la parentesi resistenziale, arriva la ripresa dell’economia del dopoguerra e con essa la definitiva esclusione di questo territorio da ogni prospettiva di sviluppo. Crocevia di strade e culture, dopo essere stato per secoli al centro di scambi con la Padania, Marcarolo non ha conosciuto la modernizzazione e la cultura della sua gente si è proiettata sino alle soglie dei nostri giorni come un residuo di antico regime.
Nel corso degli anni Sessanta il definitivo esodo dei suoi abitanti spegne la comunità locale e con essa il paesaggio rurale, le cui residue tracce oggi si stemperano nel progressivo e desolante colore dell’abbandono.
Attualmente a Marcarolo risiedono circa 20 persone.

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