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Benedicta 7 aprile 1944

Messa dopo l'eccidio della Pasqua del 1944

In séguito all’armistizio dell’8 settembre 1943, la zona appenninica alle spalle di Genova, venne individuata dagli antifascisti come idonea per la preparazione di nuclei di resistenza al regime.

I limiti intrinseci dell’area rappresentavano, nella prima fase delle operazioni di contrasto, un importante vantaggio: l’assenza di valichi montani di facile accesso tra il Passo della Bocchetta (Val Lemme, zona tra Voltaggio e Campomorone) e il Passo del Turchino (Valle Stura, zona tra Ovada e Genova Voltri) erano una garanzia di naturale isolamento.

Una seconda fase, purtoppo mai concretizzatasi a causa dei tragici fatti della Pasqua dell’anno seguente (7 aprile 1944), prevedeva uno spostamento delle bande partigiane verso le zone più sicure, con più vie di fuga e meglio presidiate, dell’Acquese e del Tortonese.

Non solo gli antifascisti inquadrati nel Partito Comunista Italiano, ma anche ribelli spontaneamente nati a causa del bando nazifascista del 18 febbraio 1944, denominato ‘Bando Graziani’, scelsero l’area dell’altipiano di Marcarolo come idonea al contrasto del fascismo.

Nacquero perciò formazioni embrionali di gruppi resistenziali che, partendo da consistenze scarsissime, portarono alla fine dell’inverno ad una situazione strutturata principalmente in due brigate: la III Brigata Garibaldi ‘Liguria’ di circa 500 uomini con sede a Capanne di Marcarolo, e la Brigata autonoma ‘Alessandria’ di circa 200 uomini con sede alla Cascina Roverno.

La situazione di questi giovani era però molto precaria: il cibo era scarso, l’armamento sufficiente forse solo per la metà degli uomini e con un munizionamento ridotto. I lanci degli alleati si fecero attendere fino al mese di marzo e anche dopo, le cose non mutarono radicalmente. Inoltre va detto che non tutti erano saliti in montagna con gli stessi ideali di solidarietà e le magre razioni spesso erano oggetto di attenzioni poco solidali. In questo quadro di ristrettezze, di eccezionale valore è stato il contributo che le popolazioni montane hanno dato alla resistenza, privandosi spesso di generi essenziali per il sostentamento. Questa solidarietà non è stata solo umana ma, da parte dei più, anche di tipo politico, comune era la lotta contro un regime oppressivo.

L’accerchiamenento dell’area di Marcarolo ad opera dei comandi militari tedeschi di Genova e Alessandria, partì nella notte tra il 5 e il 6 aprile 1944. Sulle alture vennero inviate circa 3000 soldati, armati con mezzi imponenti, partite da Lerma, Voltaggio, Masone, Rossiglione e Campomorone. I partigiani si accorsero dell’operazione, sospettata da mesi ma ritenuta mai concreta nell’immediato, all’alba del 6 aprile. Molti ripiegarono sulla Cascina Benedicta, sede dell’intendenza con effettivi intorno ai 50 uomini.

I nazifascisti arrivarono alla Benedicta alle 13 del 6 aprile, le fucilazioni avvennero l’indomani: spogliati prima di tutti i loro averi, i partigiani vennero fucilati dai bersaglieri a gruppi di cinque, nei pressi di un rio che corre al fianco della Cascina. 75 partigiani furono uccisi in quel luogo, a cui devono aggiungersi altri 22 compagni, giustiziati negli immediati dintorni. Tutti i corpi vennero seppelliti in fosse comuni presso la Cascina Benedicta. Metà della Brigata ‘Alessandria’ morì nel rastrellamento, l’altra metà riuscì a fuggire per il Monte Tobbio e Molini di Fraconalto. La notte successiva, quella tra il 7 e l’8 aprile, l’operazione continuò alla ricerca dei membri dell’altra Brigata, la ‘Liguria’. Alcuni vennero catturati sul Monte Figne, altri furono presi tra Campo Ligure e Rossiglione. 14 ragazzi inermi furono trucidati a Passo Mezzano, tra i Monti Figne e Taccone; altri 7 furono catturati tra Cravasco e i Piani di Praglia e poi uccisi. Le esecuzioni continuarono nei giorni seguenti a Masone e a Voltaggio.

Alla fine il bilancio dei morti fucilati è di 147 persone, a cui andrebbero aggiunti gli uomini caduti in battaglia e i contadini uccisi per rappresaglia. I deportati ai campi di sterminio furono più di quattrocento. Le cascine che avevano dato ospitalità ai partigiani furono incendiate, mentre la sede dell’intendenza, la Benedicta fu minata e fatta saltare in aria. Non verrà ma ricostruita a testimonianza della barbarie nazifascista.

Presso l’area, oggi Monumento Nazionale e Parco della Pace della Provincia di Alessandria, ospiterà un museo per la conservazione della memoria partigiana.

Per approfondire

D. Borioli, R. Botta e F. Castelli. Benedicta 1944. L’evento, la memoria. Regione Piemonte, 1984
G. Franzosi, L. Ivaldi. I Martiri della Benedicta. ANPI Alessandria, 1981
G. Pansa. Guerra partigiana tra Genova e il Po. Laterza, 1967
Don Berto. Sulla montagna con i partigiani. Sagep 1982

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