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Corso operatori monitoraggio lupo – 12 dicembre 2017 Bosio (AL)

Martedì 12 dicembre a Bosio (AL) l’Ente di Gestione delle Aree Protette dell’Appennino Piemontese ha organizzato il primo corso di formazione per operatori addetti al monitoraggio del lupo, rivolto agli Enti competenti sul protocollo di monitoraggio e gestione coordinato nel corridoio di connessione tra le popolazioni di Alpi-Appennino, per la costituzione di un network (gruppo di lavoro) che sarà operativo dal 1° gennaio 2018.

Le Aree Protette dell’Appennino Piemontese con D.P.G.R. 24 marzo 2014 n. 2/R e D.D. n. 271/2016 sono state individuate come Ente “Associato” del Centro di Referenza Grandi Carnivori delle Aree Protette delle Alpi Marittime, nell’ambito della collaborazione istituzionale di coordinamento Alpi- Appennino, basato sul contesto scientifico e metodologico stabilito a livello regionale.

Relatrice del corso è stata la dott.sa Francesca Marucco, coordinatore tecnico scientifico – Project technical manager del Progetto LIFE WOLFALPS presso il Centro Grandi Carnivori.

I partecipanti sono stati circa 35 tra agenti di vigilanza e funzionari degli Enti competenti sul protocollo di monitoraggio: Aree Protette dell’Appennino Piemontese, Comando Regione Carabinieri Forestale Piemonte con il Gruppo Carabinieri Forestale di Alessandria, Provincia di Alessandria con l’Ufficio Tecnico Faunistico, Ente di Gestione delle Aree Protette del Po vercellese-alessandrino, ATC AL3 – AL4 acquese – tortonese, Regione Lombardia, CAI Club Alpino Italiano Sezione di Novi Ligure e Commissione TAM (Tutela Ambiente Montano).

Il corso è stato iniziato con una introduzione sulle caratteristiche eco-etologiche del lupo e sugli elementi distintivi importanti per il suo riconoscimento in natura: occhi gialli, orecchie dritte, coda al garretto, banda nera sulle zampe anteriori, maschera facciale bianca.

La dott.ssa Marucco ha ripercorso inoltre la storia della ricolonizzazione dell’Appennino e dell’arco alpino, dopo l’approvazione della legge del ’76 che ha inserito la specie tra quelle particolarmente protette per salvarla dall’estinzione, a partire dal nucleo residuale abruzzese.

La ricolonizzazione del lupo è stata ampiamente dimostrata successivamente anche attraverso le analisi del DNA nucleare che viene effettuato per la mappatura genetica di tutti gli individui per studiarne gli spostamenti sul territorio e, da qualche anno, per valutare la consistenza dell’ibridazione. Quest’ultimo fenomeno, del tutto assente sulle Alpi, pare sia presente sull’Appennino, trovando conferma con il ritrovamento di una carcassa di “lupo” nero, investito proprio in provincia di Alessandria, che dalle analisi genetiche dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) è risultato ibridato, probabilmente molte generazioni prima.

A tal proposito è stato illustrato il protocollo previsto in caso di ritrovamento di lupi morti o feriti (DGR n. 105-10547 del 29/12/2009).

Le cause di morte dei lupi sono molteplici: si parte da quelle naturali, per malattia, debilitazione, vecchiaia o sostituzione del capobranco, che però sono le più difficili da rilevare; poi ci sono quelle, numerose, dovute agli investimenti di autoveicoli o treni, che sono le più documentate in quanto, per tipologia, sono dovute a fattori antropici quali strade e ferrovie e quindi più facilmente osservabili; infine, purtroppo, ci sono molte morti attribuibili ad atti di bracconaggio quali quelle da armi da fuoco, lacci, avvelenamenti, delle quali solo una piccola parte viene accertata.

Si è quindi entrati nel merito della metodologia di monitoraggio della presenza del lupo con una suddivisione della tipologia di campionamenti e dei dati rilevabili.

I campionamenti si dividono in “sistematici” e in “opportunistici”; i primi sono il frutto dei transetti organizzati con una pianificazione territoriale e temporale che consente di verificare la presenza della specie su tutto il territorio durante l’anno biologico (dal 1° maggio al 30 aprile dell’anno successivo). I campionamenti opportunistici sono invece effettuati per verificare eventi di predazione o segnalazioni di avvistamento.

I dati rilevabili sono di 3 tipi in ordine di di attendibilità: C1 dati certi (carcasse, reperti validati dalla genetica come fatte (escrementi), saliva o peli con bulbo, foto o video georeferenziati); C2 dati probabili (fatte, predazioni su selvatico o con segni di presenza, tracce su neve, ululati); C3 dati dubbi (predazioni su domestici o senza segni di presenza, foto e video non georeferenziati).

Per quanto riguarda le predazioni su domestici è importante l’intervento dei veterinari del Servizio ASL che possono stilare un referto sulla causa di morte e sulla possibilità di predazione da canide (cane o lupo non importa).

Per la prevenzione degli atti di bracconaggio per avvelenamento, è stato istituito nei Parchi piemontesi, nell’ambito del Progetto LIFE WOLFALPS, un nucleo cinofilo anti-veleno, costituito da 7 agenti di vigilanza, con i rispettivi “colleghi” a quattro zampe, in grado di bonificare aree in cui sono stati riscontrato episodi di avvelenamento di fauna selvatica o animali domestici oppure sono stati ritrovati bocconi o esche.

A parlarne è stato Giuseppe Gerbotto, guardiaparco delle Aree Protette Alpi Marittime, che con Sasha, labrador di 8 anni, fa parte del nucleo anti-veleno piemontese; ha illustrato l’organizzazione del nucleo e la sua operatività, riportando un’ampia casistica di interventi svolti grazie ai quali sono state bonificate molte aree in cui era stata segnalata la presenza di veleno e in alcuni casi è stato possibile di identificare gli autori di questi vili gesti che costituiscono comunque anche un reato punito dall’art. 544-bis. (Uccisione di animali) della legge 189/2004.

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